Da un’idea geniale a un totale fallimento
Tre casi di progettazione… da rivedere!
A Washington DC, in una via piuttosto anonima a due passi dal fiume Potomac, si trova quello che definirei uno dei luoghi che un progettista dovrebbe visitare almeno una volta nella vita: il “Museum of Failure“, una collezione di prodotti e servizi famosi per il loro plateale insuccesso tra i consumatori.
Mentre le multinazionali che quei progetti li hanno ideati – e pagati – provano a nascondere le tracce di un pessimo risultato sotto il tappeto, i gestori del museo, come segugi, scovano tutti quei prodotti che dopo esser stati lanciati sul mercato sono diventati famosi per il loro fallimento. Il risultato di questa ricerca produce tuttora una selezione di prodotti che lasciano i visitatori del museo con una ed una sola domanda “Ma com’è possibile?”.
Prendiamo ad esempio Apple o Microsoft, Nike o Ford: nel nostro immaginario rappresentano organizzazioni perfette i cui prodotti e servizi in commercio dominano il mercato ridefinendo il nostro concetto di innovazione, anno dopo anno. Queste grandi aziende sono loro stesse ideatrici e promotrici di nuove metodologie progettuali che, a detta degli ideatori, mettono al centro proprio il consumatore a salvaguardia dei suoi bisogni. Con budget a sei zeri e metodi infallibili, il risultato dovrebbe garantire la perfezione, ma ahimé – o meglio ahinoi – solo le intenzioni sono perfette: la realtà è ben altra cosa.
Qualunque progettista formatosi negli ultimi trent’anni sa bene che l’obiettivo finale di un processo ideativo è quello di creare una soluzione che sia desiderabile, fattibile e sostenibile. Più nello specifico, possiamo dire che un nuovo prodotto o servizio dovrebbe soddisfare le esigenze di un destinatario, essere fattibile da implementare e avere anche un business model sostenibile.
In fase progettuale, ancora prima di iniziare qualsiasi attività volta alla produzione, la considerazione sbagliata o parziale di uno dei tre fattori citati prima, può dar vita ad un processo di sviluppo del prodotto che parte già col piede sbagliato.
Se osserviamo lo schema sotto possiamo accorgerci quali sono le lacune in fase di analisi che un processo di progettazione rischia di portarsi dietro, se uno dei tre fattori viene trascurato:
Desiderabile / Fattibile / Sostenibile
La progettazione basata solo secondo questi due criteri, genererà un prodotto che non sarà in grado di farsi largo tra la concorrenza poiché non risulterà efficace in termini di utilità e dunque di necessità. L’impatto del prodotto per il destinatario è pari a zero ed un posto in prima fila al “Museum of Failure“ è garantito.
Desiderabile / Fattibile / Sostenibile
Per quanto alte possano essere le aspettative e per quanto il modello di business possa risultare vincente, pianificare una progettazione senza considerare a fondo i limiti tecnici di realizzazione, condurrà il produttore all’inevitabile interruzione delle attività di sviluppo. Il prodotto non vedrà mai la luce.
Desiderabile / Fattibile / Sostenibile
Senza un modello di business sostenibile un’opportunità di commercializzazione interessante, resterà solo un’idea. Nulla di più.
Design thinking ed altri approcci progettuali nascono per far sì che, nella prima fase ideativa, i tre fattori desiderabile, fattibile e sostenibile siano tutti gestiti. Può capitare però che per motivi di budget o per assunzioni sbagliate si realizzino prodotti che, in assenza di uno dei fattori, vedono comunque la luce per poi fallire commercialmente. Il fallimento commerciale è il punto finale nella storia di un prodotto sbagliato ed avviene quando l’azienda riconosce, qualche anno dopo il lancio, che non vi è alcuna possibilità di recuperare l’investimento fatto per ideare e produrre il prodotto.
Un cataclisma. E quando si tirano le fila è tardi per tutto.
Prezzo troppo alto o troppo basso, eccessiva ingegnerizzazione, inutilità ed un posizionamento di mercato sbagliato sono solo alcuni dei fattori che determinano la disfatta di un prodotto al cospetto del suo pubblico.
Ma quali sono i prodotti la cui progettazione ha fallito ancor prima della loro produzione? Ecco alcuni esempi da cui imparare.
Ford Edsel
Il 4 Luglio del 1957 debuttava a Torino la Fiat 500: l’auto per tutti.
Italia e Fiat 500, insieme, cambieranno la storia della mobilità in tutto il mondo.
Negli stabilimenti Ford di Michigan, Kansas e New Jersey pensavano che un fenomeno simile sarebbe avvenuto grazie alla produzione della Ford Edsel.
Il 13 Ottobre 1957 infatti sulla CBS, Frank Sinatra e Louis Armstrong annunciano la Edsel: la macchina del futuro.
Il brand americano aveva persino pensato alla nuova produzione come un marchio separato all’interno della Ford Motor Company per massimizzare la promozione pubblicitaria.
Ma veniamo alla macchina: secondo i suoi ideatori, avrebbe dovuto cambiare il modo in cui gli automobilisti e le altre case automobilistiche guardavano al design e in generale all’automotive. Sarebbe stata, per l’epoca, l’auto del futuro e in effetti era davvero ricca di accessori innovativi.
Il manuale di istruzioni “Accessories for your first Edsel” riporta la presenza di un sistema audio quadrifonico, l’installazione di serie di ben tre antenne ad altezza regolabile, un tachimetro cilindrico orizzontale (a cupola rotante), “rear door safety locks” per le famiglie con bambini piccoli, un tripudio di spie luminose come quella per l’olio, la benzina ed il freno a mano inserito. Nella Edsel non mancano anche innovativi sistemi ergonomici, tappetini e tappezzeria d’avanguardia (…) nonché la presenza di elementi vibranti per avvisare il guidatore quando entra in contatto con il marciapiede.
La Edsel godeva, inoltre, di un design accattivante che si ispirava alle lussuose Lincoln e alle Mercury già in circolazione, ma in questo caso il ruolo del design era anche un altro: esso doveva colmare il divario tra modelli più economici e auto di lusso, intercettando il target di riferimento e stimolando l’interesse anche grazie allo stile.
Le campagne pubblicitarie a supporto del lancio dell’automobile furono consistenti e con un duplice scopo: se da un lato c’era la volontà di voler creare una notevole aspettativa, dall’altro c’era l’obiettivo di rassicurare gli investitori del progetto Edsel, giustificando il “grande bizantinismo” dell’auto con dati derivati da ricerche di mercato ed altre analisi.
Si stima che la Ford abbia speso circa 250 milioni di dollari (considerando l’inflazione, oggi sarebbero diversi miliardi…) nella progettazione, sviluppo, produzione e lancio della Edsel, inclusi costi di ricerca e sviluppo, campagne pubblicitarie, nuova strumentazione per la produzione e altro ancora.
Il fallimento commerciale della Edsel fu eclatante. Complice una recessione economica in corso, – nel 1958, il costo base di una Edsel “standard” era di circa $ 2.800, circa $ 30.000 nel 2023 – i consumatori che avevano acquistato le nuove automobili iniziarono ad evidenziare gravi difetti di fabbricazione, tanto che il nome Edsel veniva letto anche come “Every day something else leaks”. I consumatori inoltre non rimasero colpiti dall’aspetto futuristico e dal design accattivante: persino la forma unica della griglia fu oggetto di scherno, spesso definita “collare per asini”.
Nel 1960 Ford cessò la produzione della Edsel definitivamente.
In qualità di progettisti di prodotti e servizi, che siano tangibili o intangibili, la storia della Edsel ci insegna alcune lezioni fondamentali.
Il confronto con i destinatari finali di un prodotto deve essere costante. I progettisti della Edsel iniziarono a coinvolgere i consumatori fin da subito ma i risultati non furono mai considerati. La desiderabilità del prodotto in questo caso non è stata monitorata con costanza investendo in “momenti di confronto” con i consumatori in ogni fase della progettazione: i progettisti della Edsel si sono “accontentati” di una prima fase di ricerca, per poi lasciare che il resto della progettazione fosse contaminato per lo più da novità tecnologiche. Le persone sono sì attratte dalle novità in fatto di tecnologia, ma sono in grado soprattutto di confermare ciò che già funziona ed è loro sufficiente nel raggiungimento di uno scopo: la novità tecnologica è spesso sinonimo di un nuovo apprendimento e, come spesso accade, non ci sono mai dati a sufficienza per constatare se coloro a cui è rivolta la novità sono disposti ad imparare qualcosa di diverso. La tecnologia può essere determinante per il successo di un prodotto, ma solo quando risolve bisogni definiti.
Gestire le energie per tornare indietro è cosa saggia. I progettisti della Ford Edsel non hanno mai considerato l’ipotesi di un flop, semplicemente perché non hanno mai testato il prodotto. Gli investimenti e la certezza nei risultati hanno guidato una progettazione priva di iterazioni e testing, basata invece su intuizioni e assunzioni fondate sulla percezione di un mercato stabile. Le indagini di mercato e il comportamento degli utenti finali sono aspetti della ricerca assai distinti e necessitano di essere considerati entrambi. Nella storia della Edsel c’è sempre un incremento di funzionalità, modelli ed accessori che non furono mai testati se non al momento del lancio, impedendo a chiunque di “rallentare” la frenetica corsa alla novità intrapresa da Ford. Senza una visione definita Ford uscì sul mercato con oltre 15 allestimenti diversi.
Il design dipende strettamente dalla comprensione che si ha del mercato di destinazione. Nel caso della Edsel è evidente come ci sia stato uno scollamento tra i designer del prodotto ed i consumatori che popolavano uno specifico segmento di mercato. Alla fine degli anni 50’, i consumatori potevano scegliere tra un numero di modelli risicato ed il confine fra l’auto di lusso e quella destinata alla classe media era più che marcato. Senza effettuare nessun test nelle fasi di progettazione, Edsel andò ad inserirsi in un mercato pressoché assente con il design di una macchina futuristica e costosa.
Da qualsiasi punto di vista la si osservi, la storia della Edsel è caratterizzata dall’assenza di sintonia con i bisogni e i desideri dei consumatori finali, in contrapposizione ad un’eccessiva certezza verso le intuizioni generate all’interno dell’azienda. Il coinvolgimento degli utenti finali avrebbe potuto sicuramente mitigare il fallimento commerciale ed anche l’ingente investimento nella realizzazione di un prodotto per molti aspetti “superfluo”.
Juicero
Quanto vale in termini economici il gesto delle vostre mani che strizzano una busta di plastica con dentro un liquido? Qualche migliaio di dollari l’anno secondo Juicero.
Fondata nel 2013 e deceduta nel 2017, Juicero è ricordata per aver pensato un prodotto inutile dal design accattivante sostenuto da un modello di business di tendenza.
Il problema che Juicero si proponeva di risolvere semplicemente non era un problema.
Ma partiamo dall’idea. La mission di Juicero era quella di fornire – e rifornire – succhi di frutta freschi e nutrienti da poter essere serviti grazie alla spremiagrumi “Juicero Press”, la macchina per la spremitura a freddo sviluppata dalla compagnia per la produzione dei succhi.
Una busta in plastica con un beccuccio termosaldato nella parte inferiore, veniva inserita nell’alloggio della “Juicero Press”, dopo di che la macchina spremeva la busta ed il succo usciva.
Più che sulle modalità d’uso, il nobile purpose dell’azienda era basato sui benefici salutari per il consumatore: offrire un prodotto di alta qualità, utilizzando ingredienti freschi e biologici, e consentire ai consumatori di godere dei benefici per la salute associati ai succhi freschi.
La macchina poi offriva caratteristiche imparagonabili rispetto agli spremiagrumi sul mercato, ad esempio la forza che esercitava sulle buste di ingredienti per estrarre il succo era superiore a quattro tonnellate di pressione, il tutto ovviamente senza richiedere sforzi manuali e dunque accessibile davvero a tutti. Provate a spremere un’arancia se avete un problema al tunnel carpale (…). Juicero sosteneva che ogni succo necessitasse di una forza applicata alla spremitura diversa da un altro: la pressione applicata alla spremitura era variabile.
Ai processi d’acquisto, d’uso e di consumo era strettamente legato il modello di business.
L’utente di Juicero, senza macchina precedentemente acquistata, non avrebbe mai potuto ordinare le buste con gli ingredienti per il succo. Infatti le buste di frutta e verdura erano dotate di un QR code che la macchina scansionava automaticamente. Il codice conteneva le informazioni sulle caratteristiche specifiche dell’ingrediente e le istruzioni di pressatura.
Gli utenti potevano acquistare le buste tramite il sito web di Juicero o attraverso il sistema di abbonamento, dove potevano ricevere regolarmente le buste a casa. Un po’ come se Netflix ti vendesse la TV per poter vedere il suo palinsesto. Un po’ come il flusso costante di acquisto quando compriamo materie ricaricabili su Amazon.
La “Juicero Press”, che col suo design ben si adattava alle cucine essenziali e moderne, era dotata addirittura di un display touch che consentiva di leggere i dati di pressatura durante il ciclo di spremitura della busta.
Veniamo ora alla sostenibilità economica. La macchina costava 699$ al debutto sul mercato e poi, alla faccia delle logiche di repricing, è scesa a 399$. Il costo di una busta di succo variava invece dai 5 agli 8 dollari. Se siete consumatori di succhi di frutta estratti da materie prime lascio a voi fare i conti e giudicare la sostenibilità dell’esperienza Juicero.
Il 19 Aprile del 2017 è stata una giornata campale per la Silicon Valley e l’internet.
Un’indagine – e che indagine – di Bloomberg ha rivelato in un video che, come lo stesso risultato della spremitura effettuata dalla “Juicero Press” poteva essere replicato… a mani nude.
Forbici, mani e un bicchiere.
Google Ventures, Kleiner Perkins, Campbell Soup sono solo alcuni degli investitori che contribuirono allo sviluppo della startup. Nel 2016 in una singola campagna di raccolta fondi, Juicero raccolse 120 milioni di dollari: Google Ventures, Kleiner Perkins, Campbell Soup figuravano tra gli investitori.
Nel 2017 Juicero chiuse definitivamente.
Un prodotto ben ingegnerizzato, ma inutile, che avrebbe dovuto portare un flusso costante di entrate. Tutti noi conosciamo le logiche di vendita delle macchine da caffé a cialde: abbonamento a garanzia di un consumo costante, la macchina è in regalo (valore minore) e il caffè è sempre a disposizione, grazie alle cialde che arrivano in modo continuativo a seconda della nostra sottoscrizione all’abbonamento con la compagnia produttrice. Macchina da caffè e cialde sono quasi sempre produttori diversi. Il vantaggio nell’esempio è evidente anche se la qualità del risultato è discutibile: in assenza di un bar nei paraggi o se non si ha il tempo di preparare una moka, il sistema a cialde è vincente.
Nel caso di Juicero l’azienda era sì produttrice di succhi ma anche – e soprattutto – produttrice di elettrodomestici di fascia alta. Juicero ha “chiesto” ai propri consumatori di sostenere una spesa ingente per un prodotto bello e tecnologicamente avanzato come gancio per possibili affiliazioni, solo che il mercato che doveva occupare semplicemente non esisteva. Come progettisti che mettono al centro del proprio lavoro l’utente finale abbiamo il dovere di conoscere e partecipare con i dati nelle decisioni che impattano sulla commercializzazione di un prodotto affinché, prima di vendere una macchina inutile a 400$, si possa capire se l’utente è disposto a “non sporcarsi le mani” per spremere un’arancia.
La tecnologia, da sola, non è sufficiente a creare nuovi bisogni. Dal punto di vista dell’esperienza utente Juicero voleva creare un’alternativa comoda al tradizionale spremiagrumi a mano. Lo ha fatto producendo una macchina i cui pezzi costavano fino a 400$ per ogni spremiagrumi, tutti custom e con alcune caratteristiche tecnologiche di alto livello (scanner). L’alta ingegnerizzazione del prodotto Juicero ha svalutato quella che forse era il più nobile purpose che Juicero company perseguiva: la distribuzione di ingredienti salutari per produrre succhi di frutta in casa.
Un approccio progettuale basato sul coinvolgimento diretto degli utenti avrebbe ridefinito il “come” l’utente designato come target desidera produrre succhi salutari. Probabilmente nessuno avrebbe voluto pagare 400$ un inutile apparecchio, ma forse ne avrebbe spesi 10$ per dei succhi di qualità.
Juicero era un prodotto e non una soluzione. Abbiamo accolto nelle nostre vite idee veramente stravaganti e considerate – almeno al loro debutto – scriteriate. Se vent’anni fa qualcuno per strada si fosse rivolto a voi chiedendovi di essere ospitato in casa vostra in cambio di denaro, probabilmente avreste risposto di no.
In qualità di progettisti fare ricerca con utenti significa – anche – tenere sempre il nord della nostra bussola etica puntato. Essere trasparenti sul valore assoluto di un prodotto, già dal suo stato prototipale, consente alle aziende produttrici di evitare errori grossolani come quelli commessi da Juicero, specialmente quando in gioco c’è un gesto, un rito radicato come quello di spremere frutta. Il valore percepito nella “Juicero Press” era elevato, troppo rispetto al valore assoluto.
Segway
Nessun veicolo urbano mi fa pensare al dentista come il Segway.
Il Segway è stato sviluppato da Dean Kamen, un inventore e imprenditore statunitense ed è uscito allo scoperto nel 2001 con un hype al pari dell’uscita della prima Tesla. Avrebbe dovuto cambiare il modo di muoversi delle persone.
“Credo che l’impatto che il Segway avrà sul “camminare”, sarà pari a ciò che la calcolatrice ha fatto per il blocco note e la matita. Vacci più velocemente e andrai anche oltre.”
Nel 2007 Segway aveva raggiunto solo l’1% del suo obiettivo di vendita e, nel 2015, l’azienda è stata acquisita.
Il Segway utilizza – poiché esiste ancora – una tecnologia chiamata “Dynamic Stabilization,” che consente al veicolo di bilanciarsi automaticamente sulla base dei movimenti dell’utente. Per controllare il Segway, l’utente si inclina in avanti ottenendo un’accelerazione in avanti, o indietro per procedere nel verso contrario. La direzione viene controllata girando il manubrio. Il veicolo è elettrico e ha due ruote.
A differenza dei monopattini, le ruote sono collocate ai lati della pedana e Segway occupa una larghezza su strada di circa 60 cm.
Anche se il design del lancio non era proprio accattivante, possiamo dire che la proposta di valore del prodotto Segway è stata mantenuta:
- Il Segway è elettrico ed i suoi consumi sono contenuti
- Le batterie possono essere collegate in ricarica facilmente sia in ufficio che a casa
- Non richiede alcuno sforzo per poter fare ciò per cui è progettato
- È destinato ad un pubblico molto ampio
- La curva di apprendimento è minima
Ma allora, perché il Segway ha fallito ed il monopattino è esploso?
Il costo di un Segway all’inizio era di circa 5000$ – in US nel 2001 tale somma corrispondeva al risparmio semestrale di un consumatore di fascia medio-alta – e, come prodotto, non è mai riuscito a diventare mainstream. Non è mai stato definito o proposto un modello pay-per-use come invece accade per gli attuali monopattini, anche se c’è da dire che nel 2001 sarebbe stato piuttosto difficile individuare uno strumento in grado di sostituire le attuali applicazioni per smartphone che consentono di utilizzare i monopattini. Il costo e la strategia di prezzo dunque rappresentavano un ostacolo pur sempre relativo.
Un po’ meno relative erano però le normative delle città nelle quali si intendeva introdurre Segway.
Su un Segway è possibile viaggiare senza casco e senza protezioni. Nonostante la velocità ridotta del mezzo elettrico non è possibile viaggiare su strade e marciapiedi e, nel 2001, le ciclabili erano ancora poche. Le regolamentazioni da paese a paese ne hanno poi condizionato l’utilizzo anche su sollecito delle forze dell’ordine.
La percezione del Segway da parte del grande pubblico era piuttosto variegata, ma mai nettamente positiva. Le forme e i gesti non creavano nel consumatore quell’immediata fiducia che contraddistingue alcune innovazioni. Inoltre, il design era da rivedere e ben presto, dopo il lancio nel 2001, sono emerse soluzioni più leggere e dal design più convincente.
Segway è stata un’invenzione piuttosto che un’innovazione. Il brevetto del Segway è stato depositato nel 1994, ma di fatto è stato concesso solo nel 2001 quando Segway è uscito. Il processo di sviluppo del Segway ha coinvolto anni di ricerca e sviluppo, compresa la raccolta di feedback dagli utenti e la messa alla prova del prototipo in diverse situazioni. Ma, mentre la tecnologia era innovativa, alcuni fattori sconosciuti agli utenti come il prezzo e le normative per utilizzarlo, si rivelarono solo dopo la sua presentazione al pubblico.
La ricerca con utenti non può essere basata solo sui test di usabilità. È necessario porre gli utilizzatori in una condizione di conoscenza approfondita, dunque utilizzando metodi di ricerca qualitativa a discapito dei dati. Chiedere ad una persona se si trova bene a guidare un Segway quando ci è sopra, non è uguale a chiedere alla stessa persona se utilizzerebbe un mezzo così strano ed originale per fare i soliti 500 m quotidiani dalla casa al parco.
Il contesto definisce l’uso dei prodotti che realizziamo. Per quanto il marketing abbia generato aspettative troppo alte e mai mantenute, il Segway non aveva considerato la realtà.
In alcune città era improponibile, sia in termini di sicurezza e legislazione, sia per quel che concerne la tipologia di suolo di alcune metropoli.
La progettazione user centered si definisce tale poiché l’utente dialoga, crea e modifica il contesto d’uso: aver pensato al Segway come strumento di lavoro senza un’approfondita indagine sul contesto di destinazione ha esposto il prodotto ad un numero imprevedibile di rischi e sperimentazioni che ne hanno rallentato l’ascesa annunciata.
Le informazioni riportate in questo articolo sono frutto di una ricerca piuttosto approfondita sui temi. Ciononostante la nostra posizione è pur sempre quella di osservatori, a volte utenti ma, più in generale, di persone estranee ai fatti. Non potremmo mai sapere con certezza le ragioni per cui il marketing Ford abbia deciso di non seguire i feedback delle interviste col target precedentemente effettuate, non sappiamo neanche come mai Dean Kamen ha ideato e realizzato un veicolo dalle ambizioni rivoluzionarie che viola però la legislazione di alcune fra le più grandi metropoli al mondo, in termini di viabilità.
Senza alcun dubbio possiamo imparare molto da queste tre storie ma, in qualità di progettisti, dobbiamo perseguire approcci e metodi progettuali che, senza compromessi, mettano davvero al centro le persone al fine di praticare un design sostenibile, ma soprattutto etico.